Ospitando la mostra “Il viaggio di Elena” curata da Marcella Damigella, l’edizione 2019 di “Nostos”, il Festival del Viaggio e dei Viaggiatori, ha trovato una maniera esteticamente consona per strizzare l’occhio a Scilla e Cariddi. Nell’atmosfera claustrale dell’ex convento del Ritiro, Stefania Pennacchio, scultrice ceramista sperimentale, lascia che siano gli echi visibili della sua forgia a dialogare in complementarità con le opere pittoriche di Andrea Chisesi, gravide, ma leggiadramente, di effigi dell’epica omerica. Reggina doc, e di madre cosentina, la Pennacchio da 7 anni ha acquisito oltrestretto pure una vivace “siracusanità” adottiva, oltre a girare il mondo in veste di ambasciatrice dell’arte nostrana, come dimostra un recente tour espositivo in 12 tappe tra Cina e Mongolia. “Ponendo in relazione le mie sculture con l’estro di Chisesi” – ci racconta l’artista calabrese – “ho compiuto un altro passo nel percorso di ricerca a me più congeniale, fatto di contaminazioni con l’archeologia e l’antropologia, scegliendo sempre come prioritario e privilegiato un punto di vista femminile. Dovunque esista, nella storia, nella letteratura, nelle grandi tematiche sociologiche che scuotono l’umanità, un’eco sospesa, o se preferite irrisolta, coniugata al femminile, allora metto in campo la mia arte per riprendere le fila del discorso”.

Non è stata casuale la scelta di porre la figura di Elena di Troia al centro della proposta espositiva, visto che la “Elena” di Euripide, messa in scena da David Livermore, è una delle tre rappresentazioni del 55. Ciclo di spettacoli classici al teatro greco. Tra elmi, corone, armature e naturalmente l’uovo dal quale Elena, secondo una delle tre versioni del Mito, conobbe la sua genesi, la mostra si propone di restituire alla curiosità indagatrice del fruitore di oggi il profilo rinvigorito di una donna assolutamente consapevole e cosciente delle proprie scelte. “Da figlia del Mediterraneo” – prosegue la Pennacchio – “ho letto l’utilità di quest’accezione”. Già, il Mediterraneo, altro riferimento caro alla scultrice. “Sento molto dentro me” – afferma ancora – “la sua radice. Non mi dispiace riconoscermi nelle vesti di sacerdotessa del Mediterraneo, e vado a spiegarmi: in un’epoca che ha dissacrato più o meno tutto, credo che il senso del sacro, inteso anche come recupero della cultura e del misticismo che sta dentro le cose, vada rivalutato. Il Mediterraneo è lo scrigno ideale per custodire questo senso, con tutto il suo substrato, basti pensare all’eredità lasciataci dall’Ellenismo”. Nelle opere in mostra, si rincorre con se stesso, come un mantra, un simbolo: un elmo chiodato. “Cosa rimane” – c’interroga la critica d’arte Federica Cadamuro Morgante – “dopo una battaglia? Rimangono in terra le armi, con gli apparati protettivi dei guerrieri. Dunque l’elmo è metafora della preservazione della memoria. I chiodi scandiscono invece le tappe del nostro vissuto: gli affanni, le cadute, il ritorno in piedi, una nuova corsa, una nuova caduta, ma che stavolta conferisce meno dolore della precedente, una nuova motivazione per ricominciare”. Per chi, poi, si sia interrogato sulle tecniche nascoste dietro la definizione di ceramica sperimentale, la curiosità è presto soddisfatta. “La metodologia nasce” – conclude la Pennacchio – “dalle contaminazioni con gli elementi naturali. Non nego che fra questi io nutra una predilezione per il fuoco, che trasmette una verticalità mistica”. La mostra sarà fruibile per ben due mesi: si protrarrà infatti fino al 24 luglio. Venerdì prossimo, invece, sarà l’ultimo giorno utile per scoprire un ulteriore profilo di Stefania Pennacchio, protagonista in città anche dell’esposizione “I luoghi del Femminile” (pianificata da Federica Cadamuro Morgante), condivisa, nei magazzini di Torre dell’Aquila al Foro Italico, col fotografo Francesco Lopes.
(foto: due immagini dell’artista Stefania Pennacchio)